L’insigne filologo, linguista e grecista Franco Mosino (1932 – 2015), nel suo Vocabolario etimologico della pasta italiana, ha censito ben 1238 nomi di formati di pasta. Anche se spesso la stessa pasta è chiamata, a seconda della zona, in modi diversi, i formati di pasta in Italia sono davvero moltissimi.
Occorre dire che molti formati di paste regionali sono ormai pressoché estinti, anche se, negli ultimi anni, molti chef li stanno riproponendo.
Qui di seguito una breve descrizione dei principali formati di pasta fresca realizzati nelle varie zone della penisola.
I bigoli sono una pasta lunga, simili agli spaghetti, ma molto più spessi e con una superficie piuttosto ruvida.
Si tratta di un formato piuttosto antico, originario del veneto e diffuso anche nella Lombardia orientale e nella Venezia Giulia.
Si preparano con farina di grano tenero e acqua, ma ne esistono varianti anche con farina di grano saraceno e altre con uova, e presentano di norma un diametro di 3 o 4 mm.
Un tempo venivano preparati con un torchio dotato di trafila al bronzo e chiamato bigolaro.
La particolare ruvidità della superficie dei bigoli li rende particolarmente adatti ad essere conditi con sughi ricchi.
Spaghettoni spessi e lunghi a base di acqua e farina di grano tenero (senza uova) in alcuni casi con aggiunta di farina di mais. Originari della Val Tiberina (Umbria) ma tipici anche nell’Aretino e diffusi in tutta l’Umbria, la Toscana e le Marche. In alcune zone sono chiamati brigonzoli, in altre bringuili e in altre ancora biche,
Una volta preparato l’impasto di farina di grano tenero e acqua, per la preparazione dei bringoli vi sono due diversi metodi:
1. Con il mattarello viene tirata una sfoglia spessa dai 5 agli 8 mm circa. Si tagliano quindi dapprima delle strisce larghe una decina di centimetri dalle quali successivamente si ritagliano piccole strisce, larghe circa 1, le quali vengono infine arrotolate con le mani sulla spianatoia fino a formare dei grossi spaghetti lunghi dai 20 ai 30 cm circa.
2. Si “strappano” dall’impasto dei pezzetti e si lavorano a mano facendoli rotolare sulla spianatoia fino ad ottenere di grossi spaghetti dai 20 ai 30 cm circa.
I cavatelli sono una pasta originaria del Molise, poi diffusasi in Puglia (dove spesso sono chiamati capunti) e oggi molto utilizzata (con nomi diversi da zona a zona) anche in Abruzzo, Basilicata, Campania, Calabria e Sicilia.
Fanno parte, insieme a orecchiette, strascinati e altri formati, delle cosiddette paste trascinate (o strascinate). Sono realizzati con un impasto di semola di grano duro e acqua e hanno una forma allungata e incavata. La lunghezza varia, a seconda dei paesi, in base a quante dita (o meglio punte di dita) vengono usate per trascinarli. Da molto corti per quelli fatti con solo un dito a molto lunghi quelli trascinati con quattro dita.
v.ricetta dei cavatelli al sugo vedovo
Come si realizzano
Impastate la farina, con un pizzico di sale e un po’ di acqua tiepida. Lavorate l’impasto per una decina di minuti. Formate una palla e lasciatela riposare per 15/30 minuti, a temperatura ambiente e coperta con un canovaccio.
Prelevate una parte dell’impasto e realizzate un lungo “serpente” del diametro di circa 8/10 millimetri. Tagliatelo in cilindretti lunghi due o tre dita**. Il tutto aiutandovi con un po’ di farina. Prendete quindi un cilindretto e con la punta dell’indice e del medio (o dell’indice, del medio e dell’anulare) fate una leggera pressione e trascinatelo verso di voi, avrete ottenuto un cavatello. Ripetete l’operazione fino ad esaurimento dell’impasto. Mettete i cavatelli su un canovaccio con un po’ di farina.
Alcuni preferiscono, in luogo dei cilindretti, dei rettangolini larghi un centimetro e lunghi due o tre dita** tagliati da una sfoglia piuttosto spessa.
**) La punta dell’indice e del medio affiancate o la punta dell’indice, del medio e dell’anulare affiancate. Ma se volete potete fare anche un dito o quattro dita.
Pasta tipica calabrese, in particolare delle zone di Vibo Valenza e Tropea, a base di semola di grano duro e acqua.
Chiamati anche filateddhi, filatelli, maccaruni ‘i casa, ricci di donna, strangugghi e anche maccheroni calabresi.
Vengono preparati realizzando con l’impasto dei cordoncini di circa 5 mm (o poco meno) di diametro, lunghi circa 4 o 5 cm. Questi cordoncini vengono quindi “arrotolati”, per il senso della lunghezza, su un ferretto (un tempo si usava il fusto della disa (ampelodesmos mauritanicus), una pianta selvatica diffusa nel centro e sud Italia.
Tradizionalmente vengono abbinati a condimenti piuttosto corposi e saporiti, come il ragù di capra, di maiale o di selvaggina e il sugo con la ‘nduja.
Conosciuti anche come gnocchetti sardi. Sono una pasta tipica della Sardegna, fatta con semola e acqua e con conchiglie rigate con lunghezza di 2 o più centimetri. Vengono conditi con varie salse, la ricetta più famosa è quella dei Malloreddus alla campidanese (v.)
I malloreddus sono zona del Medio Campidano. Nel resto della Sardegna sono diffusi ma con dimensioni un po’ più piccole e prendono in genere il nome di macarrones de punzu.
Sono un formato di pasta tipico della Valtellina ed in particolare di Teglio. Si tratta di una sorta di tagliatelle corte e spesse, realizzate con farina di grano saraceno, farina di grano tenero e acqua.
Vengono tipicamente cucinati con patate, verze, burro fuso e formaggi della Valtellina. V. ricetta Pizzoccheri di Teglio
Sono un formato di pasta tipico Abruzzese ma diffuso anche in Ciociaria, Molise, Valle Latina e altre zone montane del Lazio, nonché nel Salento leccese.
Tradizionalmente l’impasto è base di soli acqua, farina e sale. Oggi sono però diffuse anche nella versione con pasta all’uovo.
Il formato tipico delle sagne è romboidale. Spesso però (in base alla destinazione e alla zona) sono realizzate anche in forma di listelli piatti o anche di piccoli quadrati.
Gli strangozzi sono il formato di pasta più rappresentativo dell’Umbria. Realizzati con farina di grano tenero e acqua, sono di forma piuttosto irregolare, lunghi circa 30 cm, spessi circa 2 mm e larghi da 3 a 4 mm.
In alcune zone prendono il nome di stringozzi, ma anche strengozzi o strongozzi.
I tagliolini sono un formato di pasta fresca simile alle tagliatelle ma molto più stretti.
Ne esistono due versioni:
I. Tagliolini piemontesi (tajarin), originari delle Langhe e del Monferrato, sono realizzati con farina di grano tenero, tuorli d’uovo, sale e, a volte, olio. Sono molto fini (meno di 1 mm di spessore) e stretti (da 1,5 a massimo 3 mm). La ricetta tradizionale prevede l’impiego di tre o quattro tuorli d’uovo (di medie dimensioni) ogni 100 g di farina.
II. Tagliolini molisani, realizzati con semola di grano duro, acqua e sale, senza uova. Sono generalmente più larghi (3 – 4 mm) di quelli piemontesi e anche un po’ più spessi.
v. Tagliolini
Formato di pasta fresca originario del Foggiano, presenti anche in altre zone della Puglia, nella Sabina reatina, a Chieti e in Basilicata.
Sono dei tagliolini a base di semola di grano duro e acqua (a volte con l’aggiunta di albume d’uovo) rustici e spessi, molto simili agli spaghetti alla chitarra, realizzati con un apposito mattarello munito di “lame” di metallo o legno duro”, detto “troccolaturo” (ma anche troccolo o torcolo).
Questo tipo di pasta viene normalmente servita con sughi particolarmente ricchi, nel Foggiano spesso viene accompagnata con un ragù di carni miste.