La principale variante “di fatto”, ma che in realtà non è una vera variante della ricetta, è legata alla pasta. La tradizione vuole che gli strangozzi siano realizzati freschi, con farina di grano tenero e senza uova. Gli strangozzi che si trovano in commercio, nei negozi di prodotti tipici locali, sono realizzati con semola di grano duro (la legge vieta la produzione di pasta secca di grano tenero). Quindi gli strangozzi al tartufo nero di Norcia, se realizzati con questa pasta secca di grano duro saranno comunque diversi da quelli della tradizione.
Il tipo di tartufo impiegato genera poi altre varianti, spesso “obbligate”, in conseguenza del periodo dell’anno in cui viene preparato il piatto. I migliori risultati si ottengono naturalmente con il tartufo nero pregiato fresco (tuber melanosporum) ma questo è disponibile, generalmente, solo da metà novembre a metà marzo. Al di fuori di questo periodo dell’anno, dovremo ripiegare o su un tartufo nero estivo (tuber aestivum) detto anche scorzone, che si raccoglie da maggio ad agosto, o su dei tartufi conservati, generalmente in salamoia. Ovviamente i risultati saranno assai diversi.
Al di là di queste varianti “involontarie”, non sono molte le versioni di questo piatto.
La principale è quella legata all’impiego o meno dell’acciuga. Qui le opinioni possiamo dire che sono 50-50. C’è chi ritiene che l’acciuga, con l’aglio, contribuisca ad esaltare le doti aromatiche del tartufo nero e chi sostiene che invece tendano a sovrastare il tartufo. Mentre sull’aglio non c’è discussione che vada messo (e fatto imbrunire), l’acciuga è facoltativa. Ad onor del vero ci sono alcuni che, in barba alla tradizione, di aglio ne mettono pochissimo, spesso “in camicia”, e si guardano bene dal farlo scaldare troppo.
Altre variazioni riguardano:
- l’aggiunta finale di pecorino (umbro) grattugiato;
- l’aggiunta di peperoncino;
- una spolverata di prezzemolo.
Infine, rara e non sempre tollerata, è la “mantecatura” finale con pochissimo (1 noce) di burro.