Dalla scheda De.Co. del Comune di Milano:
Nel De magnalibus Mediolani della Milano del XIII secolo Bonvesin della Riva scrive “[gli orti] fioriscono per l’intero corso dell’anno e producono in abbondanza legumi d’ogni genere e cavoli di tutte le varietà, bietole, lattughe, … sedano, spinaci, prezzemolo, finocchio”.
Fino a un passato non troppo lontano gli ortolann giravano per le strade e le piazze e esponendo le loro ceste. Il verzè, nel cuore antico della città, brulicava di compratori.
Non stupisce che il minestrone, con o senza cotenne e lardo (minestrón cónt i códegh), accompagnato dal riso (e mai dalla pasta!) sia diventato nel tempo piatto riconosciuto della tradizione milanese. “La più clamorosa baldoria di verdure eterogenee” – scrive Cenzato nei suoi Itinerari milanesi -, trasformate da una lunghissima e attenta cottura, che poi è il principio base della cucina milanese: “tutto deve cuocere lentamente, coperto e a lungo…” (Ottorina Perna Bozzi, Vecchia Milano in Cucina, Martello 1969).
I ricettari più antichi indicavano un tempo di 6/7 ore di cottura lentissima sul camino. Oggi i tempi di cottura delle verdure sono, per varie ragioni, molto più ridotti.
Le origini del minestrone non sono poi troppo lontane nel tempo. E’ probabile che intorno al primo Ottocento si affermi tra Milano e dintorni, in particolare in Brianza, questa preparazione di basso costo, e di non difficile fattura, che affonda le sue radici nella tradizione dell’alimentazione contadina.
Il Cherubini nel suo Vocabolario milanese-italiano (Milano 1839) riporta la dizione Minestrón e Menestrón con la definizione “fra noi è propriamente quella minestra in cui entrano in compagnia riso, fagioli, cavoli cappucci, e spesso anche sedani, carota e altro”.
Nel Nuovo Dizionario dei Sinonimi della Lingua Italiana (Milano 1858) Niccolò Tommaseo invece non cita il “minestrone”: probabilmente il vocabolo non era ancora di uso corrente fuori Milano.
Lo troviamo però citato nell’opera del medico, gastronomo e scrittore milanese Giovanni Rajberti, che ne L’arte di convitare, pubblicato a Milano fra il 1850 e il 1851, narra: – A proposito che cosa ci dai oggi per minestra? […] – Ti do una minestra di risi, cavoli e fagioli con un pochettino di sedano e carote, brodo superbo di manzo e cappone, una buona pestata di lardo e quattro fettine di cotica di maiale. […] – Ciò che tu mi descrivesti timidamente e in aspettazione di un rimprovero è nientemeno che la galba [minestra] per eccellenza del nostro buon popolo milanese, la minestra delle minestre che noi perciò onoriamo con il nome energico di minestrone del quale beato chi può cibarne alla sera, così in piedi, una scodella fredda.
Nella prima edizione del Re dei cuochi del Nelli (Milano 1868) il “minestrone famigliare alla milanese” (che nella terza edizione del 1880 sarà diventato “un grand potage”), è presente e con Pellegrino Artusi, che inserisce il “minestrone” nel suo ricettario del 1891, questo piatto s’impone nelle cucine della penisola, e diventa il piatto tipico di riferimento della cucina italiana nel mondo, largamente diffuso dalla fine dell’Ottocento alla metà del Novecento.
Perfino Marinetti e Illia, nella Cucina futurista pubblicata a Milano nel 1932, descrivendo il pranzo architettonico Sant’Elia citano “cinque piramidi (alte cm 40) di minestrone freddo”.
La ricetta del minestrone non è facilmente codificabile perché, soprattutto un tempo, quando le verdure disponibili erano rigorosamente stagionali, gli ingredienti mutavano a seconda della stagione. Quindi si preparava un minestrone caldo invernale e uno estivo freddo o tiepido con ingredienti diversi.
Tuttavia la ricetta che si può considerare di riferimento è quella pubblicata dalla Perna Bozzi nel suo Vecchia Milano in cucina (Milano 1969) che registra anche l’uso, se si serve freddo, di versarlo “bollente nelle scodelle sul cui fondo va preparata un fettina sottile e cruda di pancetta. Rovesciando poi sul piatto, la pancetta resta al centro di quella specie di piccolo budino”.
In effetti tutti gli autori, che nei loro lavori hanno parlato di minestrone alla milanese, basti citare Buonassisi, Brera e Veronelli, Guarnaschelli Gotti, Steiner, hanno portato solo varianti modeste, mantenendo salda la struttura del piatto indipendentemente dalla stagionalità di alcuni ingredienti.
Vi sono state nel tempo contaminazioni con aggiunte di ingredienti e varianti inappropriate, che vanno evitate.
Soprattutto bisogna ricordare che per il minestrone alla milanese la tradizione vuole che non si faccia soffritto (anche se il Nelli suggerisce il soffritto), ma tutti gli ingredienti devono essere messi a freddo, tranne il cavolo che viene aggiunto un’ora prima della cottura finale, e il riso che viene “buttato” 15/20 minuti prima di spegnere il fuoco.
Prima di servire schiacciare le patate per infittire il brodo e cott el ris, dent del bon formacc grattaa e el minestron l’è pront. Se l’è d’estaa l’è bon anca, frecc, l’è on bombonin. On moment: i verdur han de bui adasi no men don para d’or e mezza, o quasi.
Giuseppe Fontana in La Cusina de Milan Milano 1997